"L'uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante;
colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è
perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero" U. da S.Vittore

Viaggio in Terra santa, il problema della democrazia israeliana

  Oggi come nei secoli passati la regione palestinese è meta di frequente pellegrinaggio. Un viaggio in Terra Santa è quanto di più interessante ci possa essere per i fedeli di più religioni, per gli archeologi o per qualsiasi studioso interessato a capire uno dei luoghi che ha contribuito più di ogni altro ad imprimere alla cultura mediterranea le sue caratteristiche spirituali. Tuttavia questa terra carica di suggestioni e spiritualità nutre in seno una guerra silenziosa e un conflitto cruento che si protrae da oltre un secolo e che dal 2000 ha fatto più di 4.500 vittime palestinesi e circa un migliaio di vittime israeliane. L’interesse di chi si reca in questa terra in quanto fedele o appassionato di scienza non può oggi prescindere da questa situazione di guerra.
Le notizie che ci arrivano dal Medio Oriente, dallo scoppio della seconda intifada1, rendono più difficile un viaggio in terra santa. I flussi turistici in Israele sono diminuiti enormemente negli ultimi anni, mentre è sempre più difficile per gli studiosi o per i cooperanti di Ong internazionali operare nei territori palestinesi o semplicemente ottenere un visto israeliano. Queste enormi restrizioni che lo stato di Israele impone a chi voglia visitare la Cisgiordania, lungi da essere giustificate per reali motivi di sicurezza, tendono sempre più ad isolare la società palestinese e ad impedirne la comunicazione con l’esterno. Il timore delle autorità israeliane è che la loro politica di distruzione e di assedio dei territori palestinesi possa trapelare nei paesi occidentali, minando la fama di unico stato democratico della regione di cui gode Israele. Le informazioni su quanto avviene nei territori palestinesi sono comunque largamente accessibili grazie all’opera di alcune organizzazioni umanitarie israeliane e internazionali. Basti citare qui i lavori di documentazione sulla violazione dei diritti umani di B’tselem2, dell’Alternative Information Center3 o dell’ufficio per gli affari umanitari delle nazioni unite (OCHA)4. Queste organizzazioni, in collaborazione con le numerose Ong e associazioni presenti sul campo, svolgono un importane lavoro  denunciando le violazioni delle autorità militari israeliane e le disastrose condizioni economiche a cui è stata ridotta la popolazione civile palestinese negli ultimi anni di intifada. Queste informazioni, largamente accessibili in rete, costituiscono un importante strumento di controinformazione riguardo alle politiche reali dello stato di Israele nei territori palestinesi. Lo stato ebraico è senza dubbio l’unica reale “democrazia” del medio Oriente, si fonda su un parlamento liberamente eletto (la Knesset, che include anche deputati arabi) e su istituzioni democratiche quindi in confronto ai regimi arabi mediorientali è sicuramente più democratico. Tuttavia la natura delle sue istituzioni è molto ambigua e contraddittoria.
Sul piano dei rapporti con i palestinesi lo stato di Israele si rende responsabile di pratiche anti-democratiche e repressive a partire dalla occupazione della Cisgiordania e di Gaza, in violazione alle risoluzioni 242, e 381 delle Nazioni Unite fino alle violazioni meno visibili dall'opinione pubblica che consistono nella espropriazione di terre palestinesi per ragioni militari, nell’eccessivo uso della forza nei confronti della popolazione civile, nel privare delle risorse fondamentali gli abitanti dei territori occupati, nel privare della libertà di movimento, nella pratica di arresti e detenzioni senza un valido capo d’accusa5, e nella pratica della tortura e della deportazione forzata. Queste pratiche che mettono in dubbio la reale “democraticità” dello stato di Israele sono largamente documentate da organi di informazione distanti da ogni appartenenza politica, i quali di sicuro non possono essere annoverati tra i gruppi antisionisti e antisemiti che attaccano lo Stato Ebraico. Tali organi di ricerca sono imparziali e internazionalmente riconosciuti come le Nazioni Unite, Human Right’s Watch, o Amnesty International.
Anche sul piano interno Israele non manca di suscitare dubbi sulla sua natura di stato democratico. Per molti osservatori e scrittori israeliani e stranieri la società israeliana è fortemente caratterizzata da disuguaglianze e ingiustizie sociali. Oltre alle discriminazioni nei confronti dei cittadini arabo-israeliani, cioè di quella minoranza di palestinesi che si trovarono dentro il territorio dello stato ebraico alla sua nascita, vi è una forte discriminazione tra ebrei di diversa origine. Così se gli Ashkenaziti, gli ebrei dell’Europa orientale che furono i pionieri e i padri fondatori dello stato, occupano tutti i posti più importanti dell’esercito e della politica, i Sefarditi, ebrei provenienti dei paesi arabi e dalla Turchia, godono di una minore rappresentanza all’interno delle istituzioni “democratiche”. Infine vi sono gli ebrei neri, la maggior parte della quale sono discendenti degli ebrei yemeniti trasferiti in Israele nella metà degli anni settanta o dei falashà ebrei etiopi che furono portati in Israele in condizioni al limite della legalità6. E’ sorprendente fin dai primi minuti dal proprio arrivo in Israele come si possa notare che tutti gli addetti alla pulizia dell’aeroporto Ben Gurion, appartengono a questa ultima minoranza, indice della loro condizione sociale.
Nei confronti degli internazionali che per varie ragioni si trovano a visitare i territori palestinesi le autorità israeliane sono note per i loro metodi poco democratici. Come quello di dichiarare qualsiasi straniero che abbia avuto rapporti con la popolazione palestinese come “persona non grata” in Israele ed impedirgli l’ingresso nei territori o di rifiutare il visto ad attivisti di organizzazioni umanitarie internazionali. Questa pratica è molto diffusa all’arrivo all’aeroporto Ben Gurion o ai confini internazionali con la Giordania. Numerosi giovani europei, statunitensi o di altre nazionalità sono stati arrestati al loro arrivo in Israele e dopo una notte trascorsa in cella, rispediti nei loro paesi d’origine con l’impossibilità di ritornare nel paese. Molti di questi giovani compivano studi presso le università palestinesi o lavoravano per organizzazioni palestinesi, è bastato questo per dichiararli “soggetti pericolosi” e “non graditi” ad Israele. Uno degli ultimi eclatanti casi del genere riguarda una volontaria italiana responsabile di un progetto di cooperazione tra istituzioni italiane e il Medical Relief, un associazione medica palestinese fondata e diretta dal dottore Mustafà Barghuti. Recentemente questa volontaria è stata fermata all’aeroporto Ben Gurion al suo ritorno dalle vacanze natalizie, sottoposta ad umilianti perquisizioni, detenuta in cella per una notte e rispedita in Italia. Esiste in proposito una interrogazione parlamentare al ministro degli esteri D’Alema affinché chieda spiegazioni al governo israeliano riguardo tale atteggiamento7. La volontaria in questione lungi da essere una efferata terrorista è la responsabile ufficiale di un progetto di cooperazione tra nostre istituzioni e la società civile palestinese.
Check point di Qalandya, Ramallah
Queste politiche che mettono in dubbio la “democraticità” dello stato ebraico indubbiamente dipendono in larga parte dalla difficile situazione geopolitica in cui si trova Israrele e dalla continua necessità di difendersi dal terrorismo, ai cui attacchi è sempre esposto. Tuttavia c’è da chiedersi quanto queste pratiche anti-democratiche favoriscano la lotta al terrorismo e quanto garantiscano effettivamente la sicurezza dei cittadini israeliani. Non bisognerebbe sacrificare tanto facilmente dei principi giusti per ottenere rapidi risultati che a lungo termine risultano controproducenti. Con le sue politiche di violenta repressione che sono antidemocratiche e in aperta violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani, Israele non fa altro che alimentare l’odio e la matrice del terrorismo nelle società dei paesi arabi che lo circondano. Le restrizioni ai movimenti e alla vita degli abitanti della Cisgiordania e di Gaza, dovute alla costruzione della “barriera difensiva” hanno indubbiamente ridotto negli ultimi tempi il numero di attentatori suicidi che riescono ad infiltrarsi in Israele ma a lungo termine hanno l’effetto di accrescere le ragioni e le cause principali del terrorismo che attacca lo stato ebraico. Fino a quando un muro di otto metri potra difendere Israele dai suoi nemici ?
Concludo citando un giornalista israeliano dell’Haaretz, noto per le sue posizioni pacifiste. Gideon Levy scrive a proposito della vittoria di Hamas alle ultime elezioni palestinesi “Gli israeliani devono finalmente rendersi conto che non è con la forza che si ottengono i risultati sperati. Anzi è l’esatto contrario […] Abbiamo già visto i risultati della mano che uccide e demolisce, sradica e mette in carcere. Le conseguenze di questa politica sono davanti ai nostri occhi: Hamas ha vinto le elezioni”8.

-----------------------

1 Intifada : in arabo “insurrezione, rivolta”. E’ il nome che è stato dato ai movimenti di rivolta e di protesta insorti nei territori palestinesi contro l’occupazione dell’esercito israeliano. La prima scoppiò alla fine degli anni ottanta (1987), ed ebbe come conseguenza l’inizio di un periodo di dialogo, cominciato appunto con la conferenza di Madrid nel 1991. Questo periodo si è chiuso con il fallimento delle trattative a camp David nel 2000, e con l’impossibilità di continuare un dialogo tra lo stato israeliano e l’autorità nazionale palestinese, emerso nelle successive conferenze di Taba e Sharm el-Sheikh. Tale situazione, con lo scoppio di una nuova intifada, l’intifada di al-Aqsa’ ha portato il livello del conflitto ad un livello di violenza altissimo. La situazione dei territori palestinesi negli ultimi anni è molto peggiorata.
2 Per una rapida consultazione dei principali temi affrontati da questa organizzazione israeliana vedi il sito internet : http://www.btselem.org
3 Per una rapida consultazione dei documenti e delle ricerche svolte da questa organizzazione israelo-palestinese : http://www.alternativenews.org
4 L’Ufficio per Gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, ha una sezione dedicata ai territori palestinesi, che fornisce dettagliati studi su aspetti sociali, economici e diritti umani nella regione. La sua sezione cartografica inoltre è tra le più aggiornate, e costituisce un utile strumento per comprendere i rapidi mutamenti sul territorio, come la costruzione della barriera difensiva, o l’espropriazione di terre, o la creazione di nuovi insediamenti colonici. Tutte queste informazioni sono disponibili al sito ufficiale di OCHA, nella sezione dedicata ai territori palestinesi : http://ochaonline2.un.org/Default.aspx?alias=ochaonline2.un.org/oPt
5 Riguardo alle detenzioni arbitrarie, è importante sottolineare che Israele applica nei territori occupati una ordinanza che ha origine nel periodo del protettorato britannico. Tale ordinanza nota come “detenzione amministrativa” permette alla autorità di polizia di arrestare e di detenere qualsiasi sospetto per sei mesi anche in assenza di prove di colpevolezza. Uno dei documenti più completi per comprendere questo argomento è il libro della avvocatessa israeliana Felicia Langer, La repressione di Israele contro i palestinesi, Teti 1999, 220 pp. Questa coraggiosa avvocatessa israeliana, figlia di sopravvissuti dell’olocausto ha difeso in tribunale numerosi palestinesi accusati di terrorismo. Tutti i suoi clienti erano stati arrestati, detenuti e torturati, grazie alla legge sulla detenzione amministrativa. La Langer, riporta in questo libro, come in un diario, numerosi casi che lei e i suoi assistenti hanno seguito negli anni settanta e ottanta, dando una delle immagini più fedeli e agghiaccianti della repressione israeliana nei confronti dei palestinesi.
6 Con una operazione dei servizi segreti israeliani, nota come operazione “magic carpet” furono portati in Israele migliaia di bambini etiopi, appartenenti alla tribù dei falashà, che furono così allontanati dalle loro famiglie di origine. Il pretesto per questa operazione fu che i Falashà presentavano dei tratti molto comuni con la religione ebraica.
7 Interrogazione parlamentare del 7 Febbraio 2007 alla Camera dei Deputati, dell’On. Bugio. Su internet : http://www.camera.it/_dati/leg15/lavori/stenografici/sed105/pdfbt01.pdf
8 Gideon Levy, “L’ora della verità”, in Internazionale 627, 3 Febbraio 2006. Tratto dall’Ha’aretz, maggior quotidiano d’Israele